Niente quotidiani anche oggi ma alcune considerazioni da fuori.
Come italiano all’estero, un tema dove il confronto/scontro con il prossimo è vivido e presente rimane quello dell’immigrazione. Il Belgio ha una delle più grandi comunità di italiani in Europa, nuova e vecchia immigrazione che suppongo abbiano dato tanto a questo paese. Anche se all’estero non siamo più accolti come succedeva ai nostri avi nei decenni trascorsi, la condizione di immigrato è come il retrogusto che ti lascia in bocca un buon caffè senza zucchero: amaro e coinvolgente. Allo stesso modo la decisione di vivere all’estero è una scelta voluta, non più dettata dalla stringente povertà che aveva costretto i nostri nonni a partire. Partiamo guidati da accattivanti prospettive di lavori migliori e meritocrazia, e spesso troviamo questi elementi in maniere che nemmeno ci sogneremmo nel bel paese. Tuttavia rimaniamo immigrati. Rimaniamo con l’amaro in bocca di non poterci godere la spensieratezza di un cornetto e cappuccino la domenica mattina, seduti fuori al tavolino del nostro bar preferito, causticamente leggendo il giornale mentre le dita si impregnano del nero petrolio della stampa.
È difficile spiegare, a chi l’Italia non l’ha mai lasciata, che la scelta di andar via non viene mai fatta a cuor leggero. Ci divertiamo, stiamo bene, frequentiamo altri internazionali e il nostro profilo su facebook si riempie di amici dai nomi esotici, ma rimaniamo ospiti in casa d’altri. Per questo motivo guardiamo con malincuore e malcelata tristezza all’italica deriva xenofoba fatta di soldati per le strade, linciaggio morale e fisico degli immigrati e denuncia dei clandestini. Il nostro prezzolato Ministro Maroni invita ad essere cattivi con chi è illegale. Forse non ha mai avuto un nonno o un lontano parente che gli raccontavano come era una volta la vita da gastarbeiter, quando eravamo noi gli albanesi. Vista da fuori l’Italia pare malconcia ed è con devozione che i tanti italiani all’estero cercano di far risaltare quanto di bello ancora c’è in questo popolo di santi, poeti e navigatori. Si soffre di nascosto ad ogni battuta o frecciatina che i savi amici o colleghi stranieri non risparmiano sull’enigmatica penisola - dato che, ahimé, gli argomenti non mancano -. Cosa fare dunque? Come italiani all’estero non dimentichiamo le nostre origini e sono sicuro che, in cuor loro, molti desidererebbero tornare un giorno al focolare natio.
Come Foscolo si domandava se il suicidio fosse un atto di estremo coraggio o incomprensibile vigliaccheria, allo stesso modo mi domando ancora se vivere all’estero sia una scelta estremamente coraggiosa o un atto dettato dalla vigliaccheria di non farcela in Italia.
Buon inizio di settimana a tutti
domenica 15 febbraio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Certo la scelta di chi se ne va può essere considerata una nobile forma di protesta, dettata forse dalla stanchezza, dall'insoddisfazione, dal senso di impotenza, dalla voglia di vedere e darsi un futuro migliore. Forse chi se ne va apprezzerà il sano vivere in una società più civile, dove i diritti di uomini e donne sono riconosciuti senza discriminazioni di sesso, religione, orientamento sessuale, razza, provenienza sociale, ecc ecc...
RispondiEliminaMa è questo il modo migliore per far sentire la propria voce? A che titolo puoi sbruffare davanti a un articolo di giornale, indignarti davanti a una dichiarazione, criticare una presa di posizione se tu per primo hai mollato e te ne sei andato?
Un buon periodo all'estero è certo un'ottima esperienza di vita, una buona occasione di distacco e sospensione, un'opportunità di apprendimento e di crescita personale. Se diventa definitivo si trasforma nella scelta vigliacca di non contribuire allo sviluppo della società.