domenica 15 febbraio 2009

Sculd Ai Stei or Sculd Ai Go?

Niente quotidiani anche oggi ma alcune considerazioni da fuori.
Come italiano all’estero, un tema dove il confronto/scontro con il prossimo è vivido e presente rimane quello dell’immigrazione. Il Belgio ha una delle più grandi comunità di italiani in Europa, nuova e vecchia immigrazione che suppongo abbiano dato tanto a questo paese. Anche se all’estero non siamo più accolti come succedeva ai nostri avi nei decenni trascorsi, la condizione di immigrato è come il retrogusto che ti lascia in bocca un buon caffè senza zucchero: amaro e coinvolgente. Allo stesso modo la decisione di vivere all’estero è una scelta voluta, non più dettata dalla stringente povertà che aveva costretto i nostri nonni a partire. Partiamo guidati da accattivanti prospettive di lavori migliori e meritocrazia, e spesso troviamo questi elementi in maniere che nemmeno ci sogneremmo nel bel paese. Tuttavia rimaniamo immigrati. Rimaniamo con l’amaro in bocca di non poterci godere la spensieratezza di un cornetto e cappuccino la domenica mattina, seduti fuori al tavolino del nostro bar preferito, causticamente leggendo il giornale mentre le dita si impregnano del nero petrolio della stampa.
È difficile spiegare, a chi l’Italia non l’ha mai lasciata, che la scelta di andar via non viene mai fatta a cuor leggero. Ci divertiamo, stiamo bene, frequentiamo altri internazionali e il nostro profilo su facebook si riempie di amici dai nomi esotici, ma rimaniamo ospiti in casa d’altri. Per questo motivo guardiamo con malincuore e malcelata tristezza all’italica deriva xenofoba fatta di soldati per le strade, linciaggio morale e fisico degli immigrati e denuncia dei clandestini. Il nostro prezzolato Ministro Maroni invita ad essere cattivi con chi è illegale. Forse non ha mai avuto un nonno o un lontano parente che gli raccontavano come era una volta la vita da gastarbeiter, quando eravamo noi gli albanesi. Vista da fuori l’Italia pare malconcia ed è con devozione che i tanti italiani all’estero cercano di far risaltare quanto di bello ancora c’è in questo popolo di santi, poeti e navigatori. Si soffre di nascosto ad ogni battuta o frecciatina che i savi amici o colleghi stranieri non risparmiano sull’enigmatica penisola - dato che, ahimé, gli argomenti non mancano -. Cosa fare dunque? Come italiani all’estero non dimentichiamo le nostre origini e sono sicuro che, in cuor loro, molti desidererebbero tornare un giorno al focolare natio.
Come Foscolo si domandava se il suicidio fosse un atto di estremo coraggio o incomprensibile vigliaccheria, allo stesso modo mi domando ancora se vivere all’estero sia una scelta estremamente coraggiosa o un atto dettato dalla vigliaccheria di non farcela in Italia.

Buon inizio di settimana a tutti

1 commento:

  1. Certo la scelta di chi se ne va può essere considerata una nobile forma di protesta, dettata forse dalla stanchezza, dall'insoddisfazione, dal senso di impotenza, dalla voglia di vedere e darsi un futuro migliore. Forse chi se ne va apprezzerà il sano vivere in una società più civile, dove i diritti di uomini e donne sono riconosciuti senza discriminazioni di sesso, religione, orientamento sessuale, razza, provenienza sociale, ecc ecc...
    Ma è questo il modo migliore per far sentire la propria voce? A che titolo puoi sbruffare davanti a un articolo di giornale, indignarti davanti a una dichiarazione, criticare una presa di posizione se tu per primo hai mollato e te ne sei andato?

    Un buon periodo all'estero è certo un'ottima esperienza di vita, una buona occasione di distacco e sospensione, un'opportunità di apprendimento e di crescita personale. Se diventa definitivo si trasforma nella scelta vigliacca di non contribuire allo sviluppo della società.

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